Siamo nella zona più orientale
del Friuli, dove la cultura friulana si confonde con quella slovena. Tra
Cividale del Friuli e la valle dell’Isonzo ci sono quattro valli naturali che
si inoltrano fino al Goriziano sloveno, queste valli prendono il nome di Valli
del Natisone, dal noto fiume che le attraversa. Oltre al fiume Natisone, il
“monumento naturale” che caratterizza le Valli è il monte Matajur, che sovrasta
la cittadina di Cividale. Quando si parla di Valli del Natisone, il paese che
più mi viene in mente (dopo San Pietro al Natisone) è Pulfero.
Storia geopolitica
In epoca romana il fortilizio di
Antro era una base piuttosto importante, in quanto era utilizzato per
controllare la via di comunicazione con il bacino danubiano (la strada del
Pulfero). Ma la porzione di Storia più rilevante della zona di Pulfero e di
tutte le Valli del Natisone si identifica nel primo medioevo. In tale epoca,
infatti, si verificarono grossi cambiamenti nell’area dal punto di vista
geopolitico, a causa principalmente delle invasioni degli Avari (di cui vi ho
parlato anche la volta scorsa) e delle popolazioni slave al loro seguito. Paolo Diacono ce ne parla nel suo Historia Langobardorum, dove si sofferma in
particolar modo sulle vicende del Duca Vettari e della sua battaglia con le
truppe slave nel 670. In seguito al trattato di pace stipulato tra slavi e
longobardi, dove i primi prendevano possesso di tutta la zona collinare, la
cosiddetta “Slavia Veneta” godette di un lungo periodo di pace e di autonomia
politica e militare.
La comunità era strutturata in
due grandi istituzioni chiamate “Banche” (non quelle che conosciamo, ahinoi, oggi)
che si chiamavano Mersa e Antro. Il territorio di Pulfero apparteneva alla
Banca di Antro ed aveva l’onore di ospitare, nel suo villaggio di Biacis, la
lastra di pietra sotto i tigli in cui tutti i rappresentanti eletti della Banca
si riunivano per le questioni amministrative e giudiziarie. La Banca di Antro
si occupava di tutto il territorio della Val Natisone e della Valle
dell’Alberone (due delle quattro Valli del Natisone). L’istituzione massima
della zona era infine il Grande Arengo, che si riuniva vicino la chiesa di San
Quirino e a cui partecipavano rappresentanti di entrambe le Banche. Il Grande
Arengo si riuniva una volta all’anno e si occupava delle più importanti
questioni di tutta la Slavia Veneta.
Questa conformazione geopolitica
si mantenne per lungo tempo, dal Patriarcato di Aquileia fino alla caduta della
Repubblica di Venezia. Fu l’arrivo di Napoleone Bonaparte a modificare questo
assetto, dividendo tutto il territorio in diversi Comuni indipendenti (quasi
tutti tutt’ora esistenti). Con il famoso Trattato di Campoformio (attuale
Campoformido) tutta la Slavia Veneta fu ceduta all’Austria, per poi tornare al
Regno d’Italia (napoleonico) dopo la pace di Presburgo, per poi tornare
all’Austria dopo la convenzione di Schiarino-Rizzino (come porzione di Regno Lombardo-Veneto),
per poi tornare di nuovo al Regno d’Italia dopo la pace di Vienna e un
referendum popolare che permise ai cittadini stessi di scegliere tra il dominio
asburgico e quello sabaudo.
Leggenda della Grotta d’Antro
Un interessante aneddoto, forse
non noto ai più, è quello che riguarda la Grotta d’Antro e la Regina di
Cividale. La leggenda narra di quando Attila arrivò in Friuli, devastandolo, e
di come la Regina di Cividale decise di rifugiarsi nella Grotta d’Antro per
sfuggire al suo infausto destino. Poco ci volle perché il Flagello di Dio, con
i suoi metodi caratteristici, scoprisse ove si nascondeva la sventurata. Il
potentissimo re degli unni ordinò di dare luogo ad un duro assedio, in quanto
bramava la testa della regina (o forse altro?), che non poteva sfuggire alla
sua furia.
La regina non era una
sprovveduta, e dopo un lungo periodo d’assedio, ormai ridotta alla fame lei ed
i suoi sudditi più fedeli che l’avevano seguita, ebbe l’idea di truffare Attila
e il suo imbattibile esercito. Si dice che gettò fuori dalla Grotta l’ultimo
sacco di frumento rimasto e che pronunciò tali parole:
“Tanti sono i grani di frumento
che vi getto e tanti sono i sacchi che noi ancora conserviamo. Se volete, e
credete, state ancora ad assediarci, ma noi per fame non ci arrenderemo mai”.
Dopo tali parole, il feroce unno
decise, di comune accordo con i suoi generali, di interrompere l’assedio e
dedicarsi ad altre zone del Friuli.
In segno di gratitudine, la
regina donò alla chiesa di Ponteacco (dove si erano accampati gli unni) numerosi
possedimenti con in cambio il patto di donare, ad ogni vigilia dell’Epifania,
cibo e vino alle famiglie del borgo. La regina si distinse infine per un gesto
assai nobile, che dovrebbe essere da esempio per tutti coloro che ricoprono
tale fortunata investitura, donando la rocca della Grotta d’Antro, assieme all’arcolaio
e al fuso d’oro, alla famiglia più povera della zona. Sono visibili tutt’ora,
nella Grotta, le buche dove erano depositate le provviste durante l’assedio e
il forno dove veniva cotto il pane.
Visitate questo link per una descrizione dettagliata della Grotta d'Antro: La Grotta di San Giovanni d'Antro.
Saluti
Vidocq
(Fonti: Wikipedia; libro "Guida insolita del Friuli"; sito Cividale.com; sito VallidelNatisone.it; blog digilander; racconti di una strana prozia)
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