Psicopatologia del Comunismo - Raffaello Vizioli

Vladimir Bukovskij disse molto tempo fa che non può esistere un comunista intelligente e in buona fede: se è in buona fede, è un cretino, se è intelligente ha interessi personali sufficientemente loschi per esserlo. Il grande dissidente russo non era a conoscenza di un’altra variabile, oltre alla sua condivisibile interpretazione.

La terza alternativa veniva proposta nel 1996 dal professor Raffaello Vizioli, ordinario di Neurologia all’Università “La Sapienza” nonché vice-presidente della Società italiana di Psichiatria biologica, in un saggio dal titolo “Psicopatologia del comunismo”. Al di là delle specificazioni didattiche, e valutando soltanto il comportamento verbale e non verbale dei vari comitati antifascisti e pacifisti, si può facilmente arrivare ad una diagnosi di psicosi paranoide con ragionevole certezza.

Il pensiero del comunista è organizzato su uno schema esclusivamente emotivo, che nega qualsivoglia parametro di realtà e che agisce sugli strati pulsionali e primitivi del sistema rettile del cervello.

Il meccanismo psicopatologico è facilmente comprensibile con alcuni esempi. “Il comunismo ha sempre combattuto per la democrazia, la libertà e il benessere dell’uomo”. Ora, c’è qualcuno che possa documentare questa affermazione in un qualunque paese del mondo – dalla Rivoluzione di ottobre ad oggi? C’è qualche popolo che possa testimoniare sulla prosperità ottenuta e sui diritti individuali esercitati in un potere comunista? Nessuno.

I disastrati apologeti ti risponderebbero che quello non era il “vero” comunismo, e che il vero comunismo è altro e altrove. “Il comunismo è il difensore delle minoranze e delle ragioni personali”. Dove? In Italia, dove il PCI espelleva l’omosessuale Pasolini per indegnità morale? In Spagna, paese europeo che ha conosciuto la più sanguinaria eliminazione degli anarchici alleati? All’Est? Dove in nome dell’ateismo di Stato vennero imprigionati e soppressi decine di migliaia di cristiani e le chiese trasformate in granai?

“Il comunismo è per la pace tra i popoli”. È un po’ difficile da sostenere questa tesi da parte di una ideologia che ha procurato oltre cento milioni di morti, a meno che per pace non si consideri quella eterna cimiteriale di tutti gli oppositori attivi, e quella della censura poliziesca che ha riempito carceri e gulag di dissidenti di ogni tipo.


Gli esempi potrebbero continuare, ma una domanda sorge spontanea: se questa è una malattia, quale potrebbe essere la cura? È qui che la questione si fa scottante.

Il problema clinico è talmente grave che rientra in quei disturbi che vengono considerati non solo incurabili, ma addirittura intrattabili. L’ideal-tipo comunista è un narcisista talmente invischiato nella propria falsa identità che non può tollerare un confronto con la realtà.

I suoi meccanismi difensivi sono quelli primitivi: la negazione, che allontana ogni responsabilità e presa di coscienza, e la proiezione, che rinvia ad altri ogni causa dei fallimenti e delle frustrazioni. Mentre da un lato c’è una percezione inconscia, e inammissibile razionalmente, del fallimento personale e politico, dall’altro subentra una compensazione patologica per affrontare il senso di impotenza e di delusione.

La sua debolezza, la sua incompetenza e la sua disgrazia esistenziale scatenano delle reazioni eccessive che, alla fine, diventano un vero e proprio abito mentale ed una struttura caratteriale. Il comunista non accetta l’incertezza, quindi la dialettica ragionata, ma vive e si relaziona con l’altro e il mondo circostante solo attraverso il filtro del sospetto e della diffidenza, perché le sue difese psicotiche – fondamentali per sostenere una pur distorta immagine idealizzata di sé – gli impediscono di confrontarsi con punti di vista altrui, di accettare un livello di fiducia, di condividere ipotesi e prospettive.

Il mondo comunista è una “pseudocomunità paranoide”, cioè un sistema immaginario dentro al quale c’è la verità e la giustezza, mentre fuori prevale un dispositivo persecutorio e cattivo.

Tale stato psichico comporta necessariamente un unico sentimento: l’odio. In altre parole, se tutto è interpretato contro di lui, tutto è nemico, quindi da odiare e da distruggere. All’interno di questa logica perversa e regressiva, il contraddittorio non può essere tollerato e l’unica azione possibile è tacitare chiunque sia percepito come un pericolo per la propria identità contraffatta e malata.

Stravolgimento della realtà, negazione della stessa e presunzione di verità assoluta da imporre con ogni mezzo. Questa è la dinamica paranoica e comunista. Si racconta da parte di Trockij che di fronte ad un progetto velleitario e inconcludente di Lenin, questi abbia risposto: “Se il mio piano contrasta con la realtà, peggio per la realtà”. Lenin ha fallito, il comunismo è miseramente finito, l’unica cosa certa – al di la dell’impossibile dialogo – è che questi relitti rimasti moriranno pazzi." -

Psicopatologia del Comunismo - Raffaello Vizioli

Frédéric Bastiat | Sofismi Economici - Il furto a premio

Poiché l’occasione ci è stata così benignamente offerta, studiamo il furto a premio. 

Ciò che se ne può dire si può applicare altrettanto bene al furto a tariffa; e poiché questo è un po’ meglio mascherato, la truffa diretta aiuterà a comprendere la truffa indiretta. 

Lo spirito procede così dal semplice al complesso.


Ma non esiste qualche tipo di furto ancora più semplice? Certo che esiste: il furto sulla strada principale: manca solo che sia legalizzato, monopolizzato, o, come si dice oggi, organizzato.

Ora, ecco quello che leggo in un racconto di viaggi:

«Quando arrivammo al regno di A..., tutte le industrie si dicevano sofferenti. L’agricoltura gemeva, la fabbrica si doleva, il commercio mormorava, la marina brontolava, e il governo non sapeva chi stare a sentire. Dapprima ebbe l’idea di tassare per bene tutti gli scontenti, e di distribuire tra di loro il prodotto di queste tasse, dopo aver preso la propria parte: questo sarebbe stato come, nella nostra cara Spagna, la lotteria. Voi siete mille, lo Stato prende una piastra a ciascuno; poi sottilmente fa sparire di nascosto 250 piastre, e ne distribuisce 750, in lotti più o meno grandi, tra i giocatori. Il bravo Hidalgo che riceve tre quarti di piastra, dimenticando che ha dato una piastra intera, è fuori di sé per la gioia, e corre a spendere i suoi 15 reali all’osteria. Sarebbe stato pure come quello che succede in Francia. Comunque sia, per quanto barbaro fosse il paese, il governo non ebbe tanta fiducia nella stupidità dei suoi governati per fare accettare loro delle così singolari protezioni; ed ecco quello che immaginò: Il paese era percorso da molte strade. Il governo le fece esattamente chilometrare, poi disse all’agricoltore: «Tutto ciò che potrai rubare a chi passa fra questi due limiti è tuo: questo ti valga come premio, come protezione, come incoraggiamento».

In seguito, assegnò ad ogni industriale, ad ogni armatore, una porzione della strada da utilizzare, secondo questa formula:

Dono tibi et concedo
Virtutem et possantiam
Volandi,
Predandi,
Derobandi,
Truffandi,
Et scroccandi,
Impune per totam istam
Viam.

Ora, successe che i nativi del regno di A... si sono oggi così familiarizzati con questo ordinamento, così abituati a tener conto solo di ciò che rubano e non di ciò che viene rubato loro, sono così profondamente inclini a considerare la preda solo dal punto di vista del predatore, che considerano come un profitto nazionale la somma di tutti i furti particolari, e rifiutano di rinunciare ad un sistema di protezione al di fuori del quale, essi dicono, nessuna industria potrebbe sopravvivere.

Voi protestate? Non è possibile, dite, che tutto un popolo consenta a vedere un sovrappiù di ricchezze in ciò che gli abitanti si rubano a vicenda?

E perché no? Abbiamo in Francia questa stessa convinzione, e ogni giorno vi organizziamo e perfezioniamo il furto reciproco sotto il nome di premi e tariffe protettrici.

No, non esageriamo per niente: d’accordo, riguardo al modo di riscossione e alle circostanze collaterali, il sistema del regno di A... può esser peggiore del nostro; ma diciamo anche che, riguardo ai principi e agli effetti necessari, non vi è un atomo di differenza fra tutti questi tipi di furti legalmente organizzati per fornire profitti supplementari all’industria.

Notate anche che se il furto sulla strada principale presenta qualche inconveniente di realizzazione, ha però dei vantaggi che non si trovano nel furto a tariffa.

Per esempio: si può fare una ripartizione equa fra tutti i produttori. Non è così invece dei diritti doganali. Questi, per loro natura, non possono proteggere certe classi della società, come gli artigiani, i commercianti, gli uomini di lettere, quelli di legge, i militari, i proletari, etc., etc.

Vero è che il furto a premio si presta anche a suddivisioni infinite, e sotto questo aspetto non è meno imperfetto del furto sulla strada principale; ma d’altra parte conduce spesso a risultati così bizzarri, così sciocchi, che i nativi del regno di A... avrebbero ben ragione a deriderli.

Ciò che il derubato perde nel furto sulla strada maestra è guadagnato dal ladro. Ma l’oggetto rubato resta almeno nel paese. Sotto il regime del furto a premio invece ciò che l’imposta sottrae ai francesi è data spesso ai cinesi, agli ottentotti, ai cafri, agli algonquini; ed ecco come:

Una pezza di stoffa vale cento franchi a Bordeaux. È impossibile venderla al di sotto di questo prezzo senza perderci; impossibile venderla al di sopra di quel prezzo, la concorrenza fra i commercianti vi si oppone. In queste circostanze, se un francese si presenta per avere questa stoffa, deve pagarla cento franchi, o deve farne a meno. Ma se è un inglese, allora il governo interviene, e dice al commerciante: «Vendi la tua stoffa, io ti farò dare venti franchi dai contribuenti». Il mercante, che non vuole né può ottenere che cento franchi dalla sua stoffa, lo dà all’inglese per 80 franchi. Questa somma, aggiunta ai 20 franchi, prodotto del furto a premio, fa tornare giusto il suo conto. È esattamente come se i contribuenti avessero dato 20 franchi all’inglese, sotto la condizione di poter comprare stoffa francese con 20 franchi di sconto su quello che costa a noi stessi. Dunque il furto a premio ha questo di singolare, che i derubati sono nel paese che lo sopporta, e i derubanti sulla superficie del globo.

È veramente miracoloso che si persista a considerare per dimostrata questa proposizione: Tutto ciò che l’individuo ruba alla massa è un guadagno generale. Il moto perpetuo, la pietra filosofale, la quadratura del cerchio sono caduti in oblio, ma la teoria del Progresso col furto è ancora in grande onore. A priori si sarebbe potuto credere che di tutte le puerilità questa fosse la meno vitale.

C’è chi ci dice: «Voi siete dunque i partigiani del laissez passer? Economisti della vecchia scuola di Smith e di Say, non volete dunque l’organizzazione del lavoro?» Eh! Signori, organizzate il lavoro come vi pare, ma noi controlleremo che non siate voi ad organizzare il furto.

E molti altri ci ripetono: «Premi, tariffe, tutto ciò ha potuto essere esagerato. Bisogna usarne senza abusarne. Una saggia libertà, combinata con una protezione moderata, ecco ciò che reclamano gli uomini seri e pratici: guardiamoci dai principi assoluti».

Questo è precisamente ciò che, secondo il viaggiatore spagnolo, veniva detto nel regno di A..: «Il furto sulla strada principale, dicevano i saggi, non è né buono né cattivo: dipende dalle circostanze. Si tratta solo di ponderare bene le cose, e di pagar bene noi ufficiali, per quest’opera di ponderazione. Forse si è lasciato troppo spazio alla rapina; forse non abbastanza. Vediamo, esaminiamo, bilanciamo i conti di ogni lavoratore. A quelli che non guadagnano abbastanza noi daremo un poco più di strada da utilizzare. Per quelli che guadagnano troppo ridurremo le ore, i giorni, o mesi di rapina».

Coloro che parlavano così, acquistarono una grande fama di moderazione, di prudenza, e di saggezza. Essi non mancavano mai di giungere alle più alte cariche dello Stato.

Quanto a quelli che dicevano: «Eliminiamo le ingiustizie e le frazioni d’ingiustizia; non tolleriamo il furto, né il mezzo-furto, e nemmeno il quarto di furto», costoro passavano per ideologi, sognatori noiosi che ripetevano sempre la stessa cosa. Il popolo, del resto, trovava i loro ragionamenti troppo alla sua portata. Come si può credere vero ciò che è così semplice?

Bignami di Storia d'italia dal secondo dopoguerra ad oggi

Questo articolo è una riflessione di Mauro Gargaglione

Siccome pagare le tasse è un atto individuale, lo Stato avrà sempre buon gioco a inchiodare ll contribuente che non paga, invece spaccare vetrine e mettere a ferro e fuoco la proprietà privata è un'azione collettiva e concertata.

Il leviatano statale campa su milioni di atti individuali che può perseguire uno ad uno, quindi è tranquillamente in grado di tollerare le violenze collettive, perché sono assai di più gli individui inchiodabili per mancato pagamento delle tasse, milioni, che un gruppo di manifestanti facinorosi che possono rispondere con la violenza, solo poche centinaia.

Si dà un solo caso nel quale gli individui che non pagano le tasse diventano milioni, quindi impossibili da perseguire per mantenere la base contributiva sufficientemente ampia per alimentare il leviatano, il caso in cui viene distrutta l'economia privata, cioè la produzione di ricchezza netta.

La conseguenza è che la mancata contribuzione non è più una scelta dell'individuo isolato ma un'azione logica delle persone.

Se manca il reddito crolla la contribuzione.

Le fasi del processo sono chiaramente riconoscibili nella storia d'italia dal secondo dopoguerra in avanti da chiunque si prenda la briga di rifletterci un po'.


Fase 1

La macchina statale è di ridotte dimensioni e quindi di ridotte pretese fiscali.

Gli individui sono relativamente liberi di inventarsi come arricchirsi sul mercato che ha un basso livello di interferenza statale.

Fiorisce l'iniziativa privata e la creatività di imprenditori, tecnici e maestranze viene ammirata in tutto il mondo.

In Italia furono gli anni del boom economico.

Le persone iniziano ad accumulare una rilevantissima quota di risparmio privato.

Immagine da L'Adigetto

Fase 2

La politica, sempre a caccia di consensi, ingrossa le file della pubblica amministrazione per ottenere voti dai beneficiati.

La sinistra intanto pompa sulla cultura dello Stato buono e del padrone cattivo da tenere al guinzaglio.

Siamo nei formidabili (per Capanna) anni '70. Lo Stato comincia a gonfiarsi sempre di più, unitamente alla cultura dell'invidia sociale.

In questa fase le tasse sono ancora sopportabili perché il fabbisogno di quattrini viene soddisfatto attraverso il combinato disposto di accumulo di debito e stampa di quattrini la quale innesca un'alta inflazione che trasferisce ricchezza dai ceti produttivi a quelli parassitari, cioè è una mega tassa sul ceto medio ma il cittadino non lo sa.

In questa fase esplode la fioritura del capitalismo relazionale, nascono un sacco di imprenditori amichetti che pagano profumatamente la politica che gli fa leggi di favore per obbligare i consumatori a servirsi da loro pagare di più.

Il sistema economico sano però è ormai alle corde.

Gli interessi per piazzare il nostro debito pubblico sono troppo alti, segno che chi li compra si fida poco e vuole essere ben pagato.

C'è un solo modo per abbassarlo, farselo garantire da stati apparentemente più seri.

Dobbiamo giocoforza entrare nell'euro.


Fase 3

Dopo sette/otto anni di gozzoviglie politiche favorite dal basso interesse sui titoli di Stato, che invece di rappresentare un'occasione per segare la spesa pubblica ne incentivano l'ulteriore aumento, scoppia la crisi dei subprime americani che innesca poco dopo quella dei debiti sovrani.

Non potendo più accumulare debito e stampare moneta, lo Stato comincia a stringere i bulloni della repressione fiscale, servono quattrini sporchi, maledetti e subito.

Si dichiara la guerra al contante per costringere le persone a tenere i loro risparmi inchiodati in banca dove, se serve, lo Stato può mettere sopra le mani.

Obiettivo quotidiano, arrivare a sera, domani ci penseremo.

Risultato, qualunque azienda che non è degli amichetti ha valore in quanto pagatrice di tasse, se non ce la fa, che fallisca pure.

E così succede, facendo esplodere la disoccupazione privata e mettendo in serio rischio il gettito. 

Chi può sbaracca e delocalizza. 

Chi vive di consumi interni non ha scampo. 

La domanda crolla.

Quindi il Leviatano non può far altro che intervenire su ciò che rimane sul risparmio privato di quello che fu il popolo più risparmiatore del mondo, che ci rendeva così ingenuamente tranquilli di riuscire a superare senza troppi danni la crisi economica.

Ma non è più una crisi economica, perché non passa e non passerà finché non deflagra lo Stato che ne è il responsabile assieme a coloro che campano di esso.

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