Appunti e curiosità sulla lingua friulana

La storia del Friuli viene inconsapevolmente narrata ogni giorno da tutti coloro che parlano la lingua friulana, specchio fedele e vivente delle vicende millenarie del popolo che l’ha inventata.

Una storia fatta di tragedie, guerre, invasioni, sangue, alluvioni, migrazioni, vissuta da un piccolo popolo collocato in una posizione fra le più scomode che si possano auspicare, nel punto di incontro, e di scontro dei popoli latini, slavi e germanici, ha lasciato tracce indelebili nella lingua friulana, che ufficialmente appartiene al complesso delle lingue derivate dal latino volgare e, tra queste, al gruppo delle celto-latine.

Gli studiosi di filologia e glottologia  hanno potuto individuare, sulla base linguistica costituita dal latino aquileiese, residui celtici, voci greche, voci germaniche (preromanze, antiche e moderne), voci slave ed un notevole apporto italo-veneto, tanto che è giusto poter dire che nella lingia friulana moderna ritroviamo il ricordo delle lingue di tutti i popoli che stettero in Friuli dalla protostoria ai giorni nostri.

Tutte le lingue presentano fenomeni di assimilazione storicamente riconducibili ad un periodo, ma nel friulano assumono estremo rilievo sia per il loro numero, sia  per la loro ricorrenza, sia, infine, per il fatto che riguardano un piccolo popolo, che è stato più oggetto che soggetto della Storia.

Si deve probabilmente fare un parallelo con la lingua inglese, per trovare altrettanti fenomeni di stratificazione e di arricchimento dovuti ad invasioni (celtica, latina, sassone e normanna), ed a una  corte che parlava il francese (quella di Aquileia parlava il tedesco), senza scordare, tuttavia, che stiamo prendendo in considerazione una delle lingue più parlate della terra, creata da un popolo che seppe conquistare il più grande impero coloniale della Storia. Non può quindi non destare sorpresa e non suscitare ammirazione il fatto che un popolo umile, numericamente poco consistente, dotato di poche risorse economiche, costretto alla diaspora, sia riuscito a conservare fino ai giorni nostri una incredibile quantità di vocaboli assimilati  nel corso dei secoli. Si può ben dire che il popolo friulano  ha compiuto, e non certo per isolamento, un vero miracolo, che non è riuscito ad altri popoli: è riuscito a preservare, forse perchè inconsciamente ritrovava se stesso ed il suo passato solo nella parlata, tutto un catino raccolto di suoni differenti, cosicchè la sua lingua assomiglia più ad una sinfonia che ad una melodia. La conservazione è dimostrata dalla quasi identità esistente  fra il friulano moderno ed il friulano di alcuni secoli fa e può psicologicamente spiegarsi assegnando alla lingua la funzione di elemento fondamentale di caratterizzazione del gruppo etnico. Essere friulani, in conclusione, ha significato per circa mille anni essere friulanofoni.


Addentrandoci più nel merito, è interessante notare come il friulano abbia saputo conservare l’esatto significato delle basi latine. Da acquariu, ad esempio, deriva il friulano agar (solco dei campi); l’italiano, dalla stessa base, ha tratto l’esito “acquaio”, corrispondente al friulano seglar. Così fructu ha dato il friulano frut (bambino) di contro al ben diverso significato italiano di frutto (di un albero, del lavoro, del sacrificio, ecc.). Cjavedal (alare) deriva da capitale, che nelle altre parlate romanze ha ssunto ben altro significato.

La presenza celtica è testimoniata da frequentissimi toponimi formati da un patronimico latino e dal suffisso celtico -acco, -icco (anticamente -aco, -ico), che trasforma il patronimico in aggettivo di proprietà, come in Rubignacco (fundus Rubiniacus, da Rubinius), Pagnacco (da Panius), Ciconicco, Martignacco, Lucinico, ecc. Di evidente celticità risultano anche alcuni nomi di luogo come Gorto (da gortu, recinto), Nimis (da nemas, bosco sacro) ecc. Anche Vendoglio ed Aquileia sono due toponimi con suffisso tipicamente celtico (-oialos ed -eia rispettivamente). Sicuramente celtiche sono, infine, le seguenti voci comunissime nel friulano moderno: bar (zolla) da barros, broili (frutteto) da brogilos; grave (ghiaia) da grava; troi (sentiero) dal vocabolo latinizzato trogium. Poche, invece, le voci greche superstiti, e fra queste la più originale e comune è uàrzine (aratro) che risale ad organon, attraverso il plurale organa inteso come femminile singolare. Si possono ricordare ancora alcuni toponimi come Basèe, Bisepente, Pasiàn (Basaglia, Basagliapenta e Basiliano), che si fanno risalire alla dominazione bizantina dopo la cacciata dei Goti, la presenza dei quali sarebbe testimoniata dal toponimo Godie (una frazione del Comune di Udine), e forse da Godo (nel territorio di Gemona). Di notevole rilievo l’eredità linguistica lasciataci dai Longobardi. Da fara (stirpe, famiglia) deriva il nome di un monte nei pressi di Maniago, Monte Fara, e Farle nei pressi di Majano; ma anche bleòn, bancje, flap, gruse, ecc. (lenzuolo, panca, floscio, crosta sulla pelle) sono certamente longobardi, e derivano dalle voci blajò, banka, flap e hrudia rispettivamente. I Franchi ci hanno lasciato asse (odio, avversione) da hatjan, trop (crocchio, gregge) da thorp, ecc. Il tedesco antico penetra nel friulano passando per la corte dei Patriarchi di Aquileia, che fu tedesca per circa tre secoli. Delle parole introdotte in quel periodo, cioè otto secoli fa, noi adoperiamo ancora cràmar (merciaio) dal tedesco Krameare, fros (stelo, filo d’erba) da Frass (mangime, foraggio), crot (rana) dal Krot (rospo), ecc. Alcune voci tedesche moderne sono state importate e friulanizzate dagli emigranti che in grande numero frequentarono le fabbriche dell’Austria e della Germania nel quarantennio precedente la prima guerra mondiale. Così chèlare deriva da Kellnerin (ragazza che serve i clienti in osteria); mismàs da Mischmasch (confusione, baldoria); sine da Schiene (rotaia), ecc.

Nutrito il parco delle voci slave. Accanto ai toponimi inconfondibilmente slavi, come Studene, Dogne, Gridiscje, Guriz, Belgrat ecc., troviamo britule, da britva (temperino), gubane connesso al verbo sloveno gubati (avvolgere o attorcigliare), save (piccolo rospo) da zaba, ecc., e molti altri di uso comune e derivati, come i precedenti, dallo sloveno.

Dati gli stretti rapporti esistenti da secoli, abbondante risulta l’importazione di parole nuove dal veneto, e in tempi più recenti, dall’italiano; si tratta di un naturale fenomeno di assorbimento determinato dalla necessità di adoperare termini tecnici sempre nuovi e in costante aumento per effetto dello sviluppo tecnologico.

La lingua friulana, intesa come il riassunto, lo specchio dell’anima di un popolo, è umile ma ricca di vocaboli semplici, dal significato preciso, concreto, poco adatta per la retorica e la filosofia: è una lingua creata da un popolo che ha sempre pagato il prezzo di una vita difficile, vissuta su una terra povera ed in posizione geopolitica sfortunata. Riassume, però, e fa rivivere in sè le tre anime dell’Europa: la latina, la slava e la germanica. E’ quindi una lingua europea non solo dal punto di vista lessicale ma anche e soprattutto sotto il profilo civile e psicologico. Il Friuli non ha mai rifiutato gli apporti di civiltà dei popoli vicini: li ha sempre assimilati, reinventati e conservati, sicchè oggi si presenta come un elemento importante di tradizione umana europea in un mondo in decadenza.

Saluti
Guest Post di FRIULanaMenteonTour

Articolo originale qui: La lingua friulana

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