Lo Stato spende, ci forma e poi… ci svende!

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Vi è mai capitato di riflettere sui costi che il carrozzone del sistema d’istruzione italiano comporta? Sono enormi. Niente di nuovo sul fronte Orientale si direbbe; per anni migliaia di studenti hanno combattuto affinché il sistema scolastico fosse pubblico, ma a quarant’anni da quelle lotte, se ci fermiamo un attimo a pensare a cosa è servito, cosa possiamo osservare? Indubbiamente le parole che saltano alla mente sono due: scarsa qualità e spese scellerate. Sono due aggettivi, questi, che ormai contraddistinguono l’intero sistema Italia, totalmente inefficiente da moltissimi anni e che perciò non dovrebbero scuoterci più di tanto. Ma facciamo un ulteriore passo in avanti.

Non tutto il sistema di istruzione pubblico è un disastro, anzi, pensiamo alle eccellenze locali come l’Università degli studi di Udine, nella quale il sottoscritto ha avuto il piacere di laurearsi, o all’Università di Padova, particolarmente per certi settori, e via dicendo. Ed è proprio da qui che oggi voglio far partire la mia riflessione. Tutti sappiamo che la preparazione scolastica, in particolare quella universitaria, ha un costo; un costo a prima vista notevole, ma che in realtà non riesce nemmeno minimamente a coprire le spese che gli atenei devono sostenere e, ovviamente, tale deficit è coperto con la spesa pubblica.

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Uno studente che intraprende un dottorato di ricerca, al netto di riduzioni di tasse per merito e borse di studio, costa nei vari anni mediamente 80.000 euro allo Stato italiano. Purtroppo, quando questo tipo di studente termina questo lungo percorso e vuole inserirsi nel mondo del lavoro nazionale si sente spesso rispondere “Perché hai buttato via più anni del necessario e non hai iniziato a maturare esperienza in ambito lavorativo?” oppure “A cosa serve il dottorato?” e si vede proporre in molti casi paghe al minimo sindacale nonostante abbia il massimo titolo internazionalmente riconosciuto. In Italia, a differenza della maggior parte delle economie più evolute al mondo, siamo decisamente indietro sotto questo importante aspetto. E non è un caso che le Università italiane siano molto indietro rispetto a quelle, ad esempio, anglosassoni o del resto dell’Europa continentale. Ed ecco allora che il nostro neo dottore riceve offerte da nazioni sicuramente più lungimiranti della nostra, offerte serie, paghe alte, contratto a tempo indeterminato…tutto ciò che in Italia può apparire né più né meno di un semplice miraggio! Ecco allora che gli 80.000 euro investiti dallo Stato italiano nella formazione di un proprio cittadino se ne volano in Svizzera, negli USA, in Inghilterra, eccetera, a beneficio di questi paesi che si ritrovano con un “cervellone” in più senza aver dovuto spendere nulla per la sua formazione. Viene perciò palesemente dimostrato un altro modo in cui lo Stato italiano regala soldi ai propri concorrenti esteri.

Al fine di interrompere questo circolo vizioso che si protrae ormai da diversi decenni, si possono prospettare due tipologie di interventi: o investire nella ricerca e creare una rete che permetta il rapido assorbimento dei laureati nel mondo del lavoro, oppure creare un sistema universitario con un’attitudine più competitiva, permettendo ai privati di investire più incisivamente in questo settore nevralgico, aumentando la qualità del programma formativo delle facoltà, come in altri Stati (es. USA) già da tempo accade.

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Sicuramente su questo sarò contestato dai più, ma non possiamo più permettere che lo Stato, e quindi noi tutti, si accolli le spese per ogni cittadino che intende avvalersi di una formazione altamente professionalizzante. Il sistema neoliberista statunitense a mio modo di vedere fa da guida sotto questo aspetto; qui le famiglie che desiderano che i propri figli un giorno possano avere un’istruzione elevata creano, sin dalla nascita del proprio figlio, un fondo nel quale accumulano i risparmi affinché al momento dell’iscrizione questi possa avere i soldi necessari. Nei paesi anglosassoni l’istruzione universitaria è costosissima, ma si è creato un sistema per rendere accessibili le facoltà più prestigiose al mondo anche ai più poveri, tramite un sistema altamente evoluto e meritocratico di borse di studio. In Italia siamo invece legati alle baronie dei “professoroni”, che implicano un impoverimento del sistema universitario globalmente inteso, sia sotto il punto di vista motivazionale che qualitativo.

Tale situazione non è altro che un piccolo problema circoscritto nell’ambito di un problema ben più grande, rispecchiando fedelmente la situazione attuale del nostro Stato, uno Stato che non vuole cambiare, ma che vuole restare immobile di fronte alle proprie tradizioni, un sistema paese del tutto statico, adagiato sui privilegi di quei pochi che gestiscono la “sala dei bottoni”. Detto ciò emerge il fatto che l’unico modo per migliorarsi e per avere un futuro prospero è quello di fare un’analisi lucida e precisa di quali sono i problemi del nostro sistema Italia, evidenziare le problematiche laddove sorgono e prospettare le soluzioni idonee prendendo esempio dagli Stati che funzionano meglio del nostro. Così difficile? Io non credo.

Saluti
M. R. Carter

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